“Il singolo può essere determinante
per il collettivo, ma non può fare, da solo, il
collettivo”. Parole sante, converrete, pronunciate da
uno che la sapeva lunga, e che da solo (o with a little
help from his friends) aveva spesso risolto i problemi
ai suoi colleghi. Duke Ellington? Gil Evans? No, a
esprimere quel concetto fu Kareem Abdul Jabbar, grande
appassionato di jazz, ma di mestiere giocatore di
basket. Il più grande mai esistito sui parquet della
pallacanestro professionistica americana, secondo molti.
Lui, il migliore, riconosceva il potere invincibile
della squadra, l’inscalfibile precisione del meccanismo
collegiale: si gioca e si vince insieme, grazie
all’apporto di ciascun singolo componente del team, il
cui funzionamento, allenamento, i cui schemi di gioco
dovevano - come sosteneva il mitico coach K (inevitabile
diminutivo di un cognome impronunciabile: Krzyzewski),
il più influente tra gli allenatori di college -,
semplicemente aiutare l’immaginazione: senza, le partite
non si vincono.
Capite, dunque, che le similitudini tra il basket - ai
cui sistemi di gioco la copertina e il titolo del disco
è dedicata - sono molte, e assai strette. Tanto che
questo nuovo, attesissimo, lavoro del Woodstore si
ispira ad alcuni aspetti tattici propri della
pallacanestro. Perché, intanto, il Woodstore è un
gruppo, questo vuol dire una cosa importante, ed oggi in
Italia in parte dimenticata; un gruppo è come una
squadra di basket: si allena regolarmente, e ogni giorno
prova nuove soluzioni a nuovi, o agli stessi vecchi
problemi; come una squadra, è un organismo che cresce ed
evolve costantemente grazie alla pratica comune quasi
quotidiana, e alla condivisione di uno stesso obiettivo.
E poi perché, quando in una squadra arriva un
fuoriclasse, la domanda inevitabile è: deve essere la
squadra ad adattarsi al nuovo arrivato, o è il nuovo
arrivato che deve calarsi negli schemi della squadra? La
risposta tra un paio di paragrafi.
Ragionando in termini più prettamente musicali, quella
del Woodstore è una geometria variabile. È un quartetto,
ma ha sempre una casella in più, un luogo timbrico da
riempire. Il leggio a disposizione è quello della
tromba: strumento al quale l’economia compositiva e la
tensione strumentale del gruppo non sa rinunciare. Sin
dagli inizi il quinto uomo – il trombettista – è stato
una pedina intercambiabile attraverso cui sperimentare
le diverse facce di un approccio al jazz assai rigoroso,
ma allo stesso tempo estremamente moderno e flessibile.
E, a leggere i nomi dei musicisti che in passato hanno
occupato quel leggio, molto si comprende dell’orizzonte
del Woodstore: Flavio Boltro, Tim Hagans, Eric Vloeimans,
Andy Gravish. Tutti trombettisti modernissimi,
addirittura visionari – è il caso dell’olandese
Vloeimans – ma con i piedi ben piantati in quello che
ancora oggi ci ostiniamo a chiamare il linguaggio del
jazz: declinato con larga angolazione, senza dogmi e a
partire dalla libertà che esso stesso richiede.
Per questo nuovo lavoro discografico del Woodstore il
quinto uomo è Paolo Fresu. Il trombettista di Berchidda
- sardo
come tutti i componenti del gruppo, ai quali è legato da
antica fratellanza -, è musicista ingombrante: la sua
presenza richiama automaticamente tutti i linguaggi, le
esperienze, i progetti, le dimensioni che ha
attraversato negli ultimi venti anni di una carriera
monumentale. Ma proprio quella che poteva rivelarsi una
debolezza, si è trasformata nella carta vincente
dell’operazione, perché l’incontro è avvenuto sul
terreno di un jazz cosmopolita, vibrante, consapevole e
generoso. Chiudendo il cerchio, e dunque lasciando fuori
tutti gli elementi posticci di una sardità da cartolina
musicale, i cinque musicisti hanno dialogato a partire
da una lingua comune, impreziosita dalle sfumature che
ciascun partecipante conserva nel proprio lessico. Jazz
– ebbene sì! – contemporaneo, vivo, pulsante, pieno di
idee, che pone problemi e li risolve in virtù di una
scrittura mobilissima e curiosa, e di capacità
individuali di caratura assoluta. Dal bolero,
maliziosamente davisiano, diInspired By You, alla
forza travolgente di Michael,
questo è un disco di classe purissima. E che sancisce il
livello di un quartetto, pardon, di un quintetto come ce
ne sono pochi in giro.
Insomma, grazie all’intelligenza che
hanno i grandi giocatori, pardon musicisti,
il fuoriclasse Fresu si è calato negli schemi di
squadra, contribuendo alla riuscita di un lavoro
intenso, affascinante e vincente. Ha lavorato per la
squadra, segnato e recuperato palloni. Accanto a lui,
semplicemente, Carboni, Tedde, Spanu e Filindeu hanno
dimostrato di essere giocatori di livello assoluto. E
una squadra imbattibile.